23.04.2021. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha aggiunto un altro tassello al suo piano per la riduzione delle emissioni di CO2. Il suo approccio ambientalista non stupisce, dal momento che è da parecchi anni la cifra del suo impegno politico. Le novità degli ultimi giorni, però, destano un po’ di stupore, e perchè circoscritte “in termini numerici” e per l’oggettiva ambizione da cui discendono.
Cosa ha deciso Biden
Nello specifico, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha svelato nella giornata di giovedì 22 aprile 2021 che l’amministrazione USA si porrà l’obiettivo di ridurre del 50-52% le emissioni di CO2 entro il 2030. Il punto di partenza, ovvero il termine di paragone non sono però le emissioni del 2020, bensì quelle del 2005.
Ciononostante, il proposito appare molto ambizioso, e in grado di riallineare il paese all’Unione Europea e alla Cina dopo le vicende che hanno coinvolto l’amministrazione Trump, che aveva cagionato l’uscita degli USA degli accordi sul clima.
L’obiettivo è molto aggressivo, per alcuni difficile da raggiungere. A testimonianza della gravità della situazione, potrebbe persino non bastare. Secondo il Climate Action Tracker, gli USA dovrebbero ridurre le emissioni non giù del 50-52% bensì del 57% per poter dire di aver fatto compiutamente la propria parte.
Ad ogni modo, anche solo il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe causare delle distorsioni nei mercati del gas e del petrolio, e in generale negli energetici. Ciò potrebbe verificarsi soprattutto nel caso in cui le amministrazioni non guidassero il processo di conversione, lasciando le compagnie a loro stesse.
I dubbi dell’API e il destino del petrolio
L’API si è espresso su questo ulteriore giro di vite dell’amministrazione Biden. In particolare, L’American Institute for Petroleum ha lamentato la difficoltà a quantificare i costi di questa “forzata” transizione energetica. Senza una definizione quantitativa degli sforzi necessari, a detta dell’API, sarà difficile stimare correttamente i risultati e prevedere gli esiti dei tentativi di conversione. Inoltre, potrebbe essere difficile garantire ai cittadini una energia sostenibile non solo ecologicamente ma anche economicamente.
L’API, infine, raccomanda di accompagnare la nuova produzione normativa a un miglioramento dell’accesso al credito da parte delle compagnie. Se si procedesse altrimenti, infatti, si otterrebbe il risultato paradossale di fermare i processi di innovazione e di riconversione.
Eppure l’API, certo non senza qualche resistenza, ha comunque deciso di seguire l’amministrazione Biden nella lotta alle emissioni. Infatti, solo qualche mese ha dato parere favorevole alla tassa sulle emissioni, che dovrebbe fungere da “incentivo negativo” per un adeguamento delle compagnie ai nuovi standard.
Fuori dal comunicato di API, ma non meno importante, aleggia un altro tema importante. Quello del mercato del petrolio, che in futuro potrebbe essere minato da una svalutazione strutturale e radicale, causata da una domanda in discesa proprio per la preferenza sempre più marcata per gli asset “sostenibili”. Una dinamica, questa, che mette a rischio alcune compagnie specifiche, le quali potrebbero non riuscire a intraprendere per tempo un percorso evolutivo tale da allinearle al nuovo corso.